Endofibrosi iliaca del ciclista (e dello sportivo)

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ENDOFIBROSI ILIACA DEL CICLISTA (E DELLO SPORTIVO)

L’endofibrosi dell’arteria iliaca esterna è una patologia poco comune, non aterosclerotica, che colpisce gli atleti di resistenza di alto livello, soprattutto, ma non solo i ciclisti. I sintomi classici includono dolore, perdita di potenza e/o crampi nell’arto interessato durante l’allenamento a sforzo massimale. Non risultano attualmente identificati dei fattori di rischio per questa patologia. La sua prevalenza è ancora sconosciuta, tuttavia si stima che una percentuale significativa di ciclisti professionisti possa essere affetto da questa patologia che, spesso, è diagnosticata in modo errato o misconosciuta. Questa evenienza può portare a diagnosi ritardate con un sovraccarico psicologico sul paziente / atleta che spesso è portato ad eseguire indagini diagnostiche non necessarie.

L’endofibrosi è caratterizzata da un progressivo processo patologico di ispessimento delle porzioni più interne dell’arteria iliaca esterna (la tonaca intima e media). Tale ispessimento provoca una una progressiva riduzione del lume arterioso e una compromissione del flusso arterioso a valle. Tale compromissione del flusso è più evidente quando l’atleta esegue uno sforzo massimale (scatto in salita, volata). Nell’85% dei pazienti la patologia interessa l’arteria iliaca esterna (AIE) di un solo lato. Ad oggi, i meccanismi coinvolti nello sviluppo dell’endofibrosi sono sconosciuti, varie sono le ipotesi: l’ipertrofia del muscolo Psoas e l’iperflessione dell’articolazione dell’anca nella posizione di pedalata, in combinazione con la lunghezza del vaso superiore alla media, che porterebbe alla flesso-estensione ripetitiva dell’arteria durante la pedalata. Tali alterazioni morfologiche oltre a determinare una occlusione temporanea dell’arteria durante la pedalata, sarebbero in grado di innescare lo sviluppo della reazione infiammatoria del vaso determinandone l’ispessimento.

L’esame clinico a riposo è spesso normale, con tutte i polsi arteriosi palpabili bilateralmente e così anche l’ecografia con color-Doppler a riposo risulta spesso normale. Tuttavia, in questi pazienti, l’esecuzione di particolari manovre provocatorie che imitino le condizioni reali di sforzo massimale, possono essere di aiuto nella diagnosi. L’angiografia TC (CTA) spesso mostra la pervietà dell’arteria iliaca esterna con una riduzione uniforme del calibro o con una lunghezza superiore alla media, nella porzione prossimale-media.

La progressione della patologia è strettamente legata all’iteratività dello stimolo e quindi generalmente con la sospensione degli allenamenti intensi i sintomi regrediscono, tuttavia laddove per motivi professionali o personali il soggetto desideri continuare l’attività sportiva intensa, diviene necessario sottoporsi ad un trattamento per risolvere la sintomatologia dolorosa.

Purtroppo le procedure endovascolari come la sola angioplastica o lo stenting, che permettono  di ottenere ottimi risultati in soggetti con stenosi iliache di altra natura (es. aterosclerotiche) in questi pazienti, sono state associate ad alti tassi di recidiva, dovuti soprattutto a fratture degli stent causati dal perdurare delle sollecitazioni meccaniche e all’iperplasia intimale del segmento colpito dalla patologia e trattato con lo stent.

Più efficace è invece l’intervento chirurgico, che è eseguito attraverso una breve incisione addominale. L’ispessimento dell’arteria viene rimosso e l’arteria viene ricostruita con tecniche diverse tendenti a riportare alla normalità il calibro del lume e ad evitare inoltre l’inginocchiamento dell’arteria iliaca esterna stessa. Mentre l’escissione dell’endofibrosi e la plastica dell’arteria sono le tecniche di prima scelta, sono altresì possibili innesti protesici mediante bypass iliaco-femorali riservati ai pazienti con lesioni particolarmente complesse.

A oggi, la riparazione chirurgica è l’unico trattamento potenzialmente definitivo, tuttavia i risultati a lungo termine dipendono da numerosi fattori che coinvolgono anche un adeguato periodo di recupero postoperatorio durante il quale il paziente /atleta dovrà svolgere una fisioterapia riabilitativa mirata oltre alle opportune prescrizioni mediche.

In conclusione, questa patologia, molto invalidante per un atleta che svolga attività agonistica, anche a livello professionistico, richiede una diagnosi corretta e tempestiva che non è sempre facile da ottenersi. L’approccio terapeutico poi deve essere pianificato di concerto fra l’atleta e il chirurgo vascolare in modo che le esigenze e le aspettative del primo possano essere allineate con i potenziali rischi e benefici dei diversi trattamenti terapeutici.